Notule
(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)
NOTE
E NOTIZIE - Anno XIX – 02 aprile 2022.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del
testo: BREVI INFORMAZIONI]
Scoperto
un nuovo meccanismo di controllo acetilcolinico della dopamina nello striato. Importante nello studio del movimento e della
malattia di Parkinson, la segnalazione dopaminergica ha rivelato un
nuovo meccanismo nello striato.
Nella
neurotrasmissione tipica il flusso di informazione procede dall’integrazione
dell’input a livello dei dendriti alla genesi dei potenziali d’azione in
prossimità del soma neuronico, con la propagazione dell’impulso lungo l’assone
e il rilascio del neurotrasmettitore dai terminali sinaptici. Liu e colleghi hanno scoperto che, per un’attività
spontanea, nello striato i neuroni colinergici rilasciano acetilcolina (ACh) in
prossimità del terminale sinaptico dei neuroni dopaminergici, dove si lega ai
loro recettori nicotinici, avviando un potenziale d’azione presso il bottone
sinaptico, escludendo tutto l’assone, che rimane muto. Il nuovo meccanismo di avvio
del potenziale d’azione che prescinde dall’integrazione dei dendriti e dal
ruolo del corpo del neurone dopaminergico obbedisce a un criterio mediato nell’esecuzione
dell’azione solo e direttamente dall’input colinergico; infatti, bloccando
i recettori nicotinici, si perdeva la co-variazione ACh-dopamina con la
direzione del movimento e l’attività motoria dei topi risultava compromessa.
Questa affascinante
scoperta motiva i ricercatori a indagare il ruolo di questo nuovo meccanismo cellulare
nell’economia del movimento, per comprenderne la logica e il significato
fisiologico. [Cfr. Changliang Liu
et al., Science 375 (6587): 1378-1385, 2022].
Scoperte
170.996 nuove varianti strutturali e il loro impatto sulla regolazione genica
nel cervello. Le varianti
strutturali (SV), che sono riarrangiamenti genomici di più di 50 coppie di
basi, sono fonte di diversità genetica e sono associate a molte malattie.
Ricardo A. Vialle e colleghi hanno individuato
170.996 nuove SV in 1.760 genomi di anziani sani o affetti da malattia di
Alzheimer. Con analisi SV-xQTL, i ricercatori hanno
quantificato l’impatto delle SV sulla regolazione genica nel cervello umano.
Più di 3.200 SV erano associate ad almeno un fenotipo molecolare. Nuove SV sono
state associate alla paralisi sopranucleare
progressiva. [Cfr. Vialle R. A., Nature Neuroscience –
AOP doi: 10.1038/s41593-022-01031-7, 2022].
È
stato scoperto come il fluido cerebrospinale regola una risposta immune del SNC. Il fluido cerebrospinale (CSF) o liquor
accede direttamente al midollo osseo del cranio, attraverso canali che perforano
la dura meninge e il tavolato interno delle ossa craniche, e le sue proteine
segnalano a vari tipi cellulari delle nicchie del midollo osseo. Dopo danni
al midollo spinale, segnali provenienti dal CSF promuovono in modo simile la mielopoiesi. Lo studio, condotto da José Mazzitelli e
colleghi, rivela un meccanismo di comunicazione diretta dal Sistema Nervoso
Centrale (SNC) al midollo osseo via CSF per regolare le risposte immunitarie del
SNC. [Cfr. Mazzitelli J. A., Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-022-01029-1,
2022].
Alzheimer:
come il difetto di TREM2 nella microglia aumenta il rischio di malattia. La proteina di membrana TREM2 regola le funzioni
della microglia, inclusa la fagocitosi e la chemiotassi. Le varianti di TREM2
con perdita di funzione sono associate ad accresciuto rischio di malattia di
Alzheimer, ma finora il meccanismo non era stato individuato. Amit Jairaman e colleghi hanno accertato che la perdita di TREM2
determina una significativa alterazione funzionale nella risposta microgliale
del Ca2+ ai segnali purinergici; e i
risultati dello studio indicano l’esistenza di una specifica finestra di
segnalazione del calcio per una motilità ottimale delle cellule immunitarie
microgliali. Il rischio di Alzheimer è accresciuto dal difetto di regolazione della
segnalazione di Ca2+ e di motilità della microglia. [Cfr. eLife – AOP doi: 10.7554/eLife.73021.sa0, 2022].
Stato
dello spirito, stato della mente o stato del cervello: tre epoche o tre diversi
livelli? Al Seminario
Permanente sull’Arte del Vivere è stato presentato un esempio di come l’assolutizzazione
di un livello di lettura abbia caratterizzato epoche diverse della storia umana.
L’esempio consiste in una sensazione soggettiva di mancanza di prospettive di
vita, di possibilità, di stallo esistenziale, di impasse, ossia quella che i
Greci chiamavano aporia: assenza di soluzioni, mancanza di vie d’uscita,
di guida certa in un labirinto, di varchi in un muro che separa dal mondo, di
strade da percorrere per riprendere a vivere; una condizione stagnante dalla
quale poter uscire solo grazie alle risorse di Poros, il dio che trovava transiti
e passaggi in ogni intricato dedalo di fatti e attraverso ogni palude di senso.
Per gli Ebrei antichi
era questo uno stato dello spirito dovuto al fatto che Dio aveva volto altrove
il suo sguardo: metaforicamente non era più possibile vedere il suo volto ed
era necessario pregare e digiunare per ottenere che la divinità si volgesse nuovamente
verso chi si sentiva escluso dal senso e dalla vita.
All’epoca dell’egemonia
del sapere psicologico e psicopatologico sulla mente, questa condizione è studiata
e interpretata secondo vari paradigmi teorici: la psichiatria fenomenologica la
identifica col vissuto dello Spleen – un sentimento pesante e uggioso
come un cielo grigio, descritto con questo nome in una poesia di Baudelaire – considerandolo
anticamera della depressione; analisi
più recenti hanno interpretato questo stato funzionale quale esito della
mancanza di riconoscimento di identità nell’esperienza interpersonale e
sociale (Perrella). Quest’ultimo approdo è suggestivo anche per l’interpretazione
del sentimento degli Ebrei quale radice culturale: il riconoscimento di
identità associato al senso individuale della vita, che da quel popolo antico
era sinteticamente espresso dall’essere nello sguardo di Dio, è mediato
dal quotidiano riconoscimento diretto di sé nel rapporto con gli altri e dal riconoscimento
indiretto, attraverso il ruolo o percepito attraverso la mediazione simbolica.
La perdita o la carenza di queste esperienze possono causare quello stato psichico.
In epoca di
scienze del cervello appare evidente che qualunque sia la causa di questo stato
dello spirito e della mente, il suo manifestarsi è mediato da un assetto
funzionale del cervello che può essere efficacemente modificato con l’esercizio
motorio aerobico, un’alimentazione specificamente studiata e l’aiuto materiale
nel creare possibilità di impegno in attività semplici ma intense, finalizzate,
motivanti e gratificanti.
La conclusione
cui si è giunti al seminario è che si tratta di tre diversi livelli di analisi,
che il grado di conoscenze e consapevolezza attuale consente di conservare nella
loro specificità e non fornisce ragioni per la riduzione forzata ad una sola
dimensione o l’appiattimento su un unico registro. [BM&L-Italia, aprile 2022].
Abbiamo
ricevuto questo messaggio, al quale diamo volentieri risposta:
…Ho letto
con molto interesse le “notule” sulla verità nel discorso scientifico, sulla
ragione e sulla razionalità cristiana, che ho trovato istruttive e illuminanti.
Tuttavia, mi sembra che la questione principale, ancora attuale e irrisolta,
sia questa: l’esistente fino allora concepito secondo le categorie ebraico-cristiane
della “legge” e della “verità”, dagli anni Settanta è stato concepito dalla
scienza (Jacob e Monod) in termini di “caso” e “necessità”.
Questo paradigma scientifico ha aperto la via a una concezione neomaterialista compatibile col politeismo greco ma
incompatibile con la fede cristiana. Cosa ne pensate?
La
risposta di Monica Lanfredini.
Non si tratta di
un paradigma nuovo, a meno che non si consideri tale un’espressione metonimica
del pensiero evoluzionistico di Charles Darwin: in tal caso rimanderei alla copiosa
saggistica che ha discusso la contrapposizione tra “evoluzionismo” e “creazionismo”,
e a quella meno copiosa, ma più recente e interessante, che dimostra come le
due tesi non siano in contrasto, e l’evoluzione possa anche considerarsi un mezzo
della creazione, al pari della procreazione. Ma, a quanto pare, il caso e
la necessità, che sono nel titolo del celebre saggio di Jacques Monod[1], sono
stati considerati dal nostro lettore quali concetti-chiave per una nuova
ontologia anti-cristiana. In effetti, è il materialismo neomarxista dei due ottimi
genetisti francesi (Jacob e Monod) a fare da sfondo
allo sviluppo di una visione evoluzionistica della realtà, argomentata in modo
semplicistico e filosoficamente dilettantesco, anche se in perfetta coerenza
con l’ideologia dei due studiosi. Dunque, al contrario di quanto è parso al
nostro lettore, Il caso e la necessità non è stato una pietra miliare
nella storia del pensiero filosofico, ma solo l’impiego di uno dei paradigmi
evoluzionistici esteso oltre il consueto limite dei ragionamenti biologici.
Ai Greci era
ben presente che il concetto di “casualità” nasce per caratterizzare fenomeni non
prodotti da intenzionalità e, dunque, applicato alla fenomenica naturale rivela
la forma di un pensiero antropomorfico: come le azioni umane non preordinate,
volute o decise, ciò che accade nel mondo in modo non regolare, non preciso,
non sistematico nel tempo e nello spazio, risultando quindi non prevedibile,
è definito casuale. Ben diversa la tradizione e la calibratura della necessità
nel pensiero classico, con profili caratterizzati per ciascuno dei filosofi
maggiori. Aristotele definisce necessario ciò che non può essere
diversamente da quel che è, ma tale necessità la ricava dall’osservazione
dei fenomeni che rivelano il tratto caratterizzante l’andamento delle cose in
natura: in genere e per lo più. Aristotele formula in termini di necessità
la ricorrenza, la ripetizione e l’ineluttabilità osservate nei fenomeni, che si
verificano in genere e per lo più. La necessità aristotelica rimane
dunque nell’ordine di ciò che appare al pensiero, mentre la necessità delle
“spinte selettive” e del “fine evolutivo della specie” appartiene all’ordine
delle leggi di natura.
Ritornando al
messaggio del nostro lettore, la questione non è da porsi nei termini di “caso
e necessità” che sostituiscono “legge e verità” ma nella scelta di usare un
paradigma scientifico come mezzo universale di interpretazione della realtà,
compresa quella parte riservata anche da molti scienziati, da Einstein a Eccles,
alla sfera spirituale, religiosa o privata della propria coscienza.
La
risposta di Lorenzo L. Borgia.
Pur sottoscrivendo
ogni parola della risposta di Monica Lanfredini, intervengo perché ritengo di
aver colto nella questione del “caso” contrapposta dal nostro lettore alla
visione del mondo nata in era cristiana e sviluppata in due millenni di
pensiero occidentale, un tema ancora attuale che merita qualche riflessione,
per le quali attingerò ai materiali elaborati al Seminario sull’Arte del Vivere.
Per secoli, l’origine
per caso del mondo è stata sostenuta dagli atei in opposizione alla
creazione, quale argomento contro l’esistenza di Dio: se non c’è stato un
creatore, non esiste Dio. L’argomentazione classica opposta dai credenti va sotto
il nome di analogia dell’orologiaio[2],
secondo cui l’ideazione e la costruzione di un orologio richiede un’intelligenza
e un’abilità: gli orologi non si formano per caso e, allo stesso modo, l’uomo
deve aver avuto un Creatore. La teoria evoluzionistica sconfigge questa argomentazione,
dimostrando che miliardi di anni di evoluzione possono, attraverso il caso e la
necessità, produrre realtà che a noi, abituati a ragionare in termini di
progettazione umana, appaiono come la realizzazione di un progetto da parte di
un’intelligenza superiore.
Tuttavia, se i
fenomeni naturali governati dalle leggi dell’evoluzione consentono di trovare
una soluzione diversa dalla creazione per il formarsi degli organismi biologici,
questa non rappresenta affatto una dimostrazione della non esistenza di Dio, ma
solo la confutazione dell’argomentazione basata sulla creazione come messa in
opera di un progetto e non come processo evolutivo[3]. Il
cristiano crede non perché sia ragionevole l’esistenza di una divinità
creatrice, ma perché Gesù Cristo ha rivelato il Padre Creatore con la sua vita,
le sue parole, le sue opere.
D’altra parte,
le spiegazioni scientifiche spostano l’attenzione dal perché avvengono i fenomeni
naturali al come si verificano: il perché di un fenomeno si risolve nel come
gli elementi naturali lo producono. Si pensi al fulmine: in certe condizioni si
genera una scarica elettrica. Ma come si determinano quelle condizioni? La
spiegazione sposta l’attenzione sulla genesi delle condizioni e così via, a
risalire, fin dove giunge la conoscenza del tempo in cui sono poste le domande.
La scienza scopre, conosce e registra oggetti e fenomeni, rivelandosi massimamente
utile ed efficace come strumento quando rigorosamente rispetta il metodo.
Ma proprio la
scienza ci dice che in biologia ben poco è affidato al caso. Quando Niremberg ha scoperto il codice genetico, ha rivelato al
mondo che la natura usa molecole (basi puriniche e pirimidiniche) come lettere
di un codice, che si compongono a formare parole di tre lettere che indicano
gli aminoacidi: un’operazione che immaginavamo possibile solo per la nostra
intelligenza, attraverso processi di cognizione astratta. La scienza non ci
dice perché il caso ha portato alla creazione di un codice universale col quale
il materiale genetico della cellula identifica gli aminoacidi, ossia i mattoni
costitutivi di tutte le macchine molecolari necessarie alla vita.
Infine, la
vita è un evento estremamente improbabile, che si estinguerebbe al solo variare
di un parametro fisico come la temperatura: la vita, come la conosciamo sul
pianeta Terra, è possibile solo in un intervallo termico molto ristretto. Non
abbiamo alcuna risposta scientifica al perché si sia verificato un fenomeno
così altamente improbabile. I credenti hanno una risposta fideistica. Lo scienziato
credente può ritenere che l’evento determinante la rottura dello schema delle
probabilità fisiche sia la volontà divina.
Ora il lettore
mi consenta una digressione esplicativa che traggo dalle lezioni seminariali
del nostro presidente.
Il Dio
Creatore ebraico-cristiano ha dato un’impronta a duemila anni di antropologia e
pensiero filosofico con conseguenze sulla concezione della realtà e della
scienza, basti solo pensare all’universo come esito di una decisione
per comprendere l’intima struttura di senso di una realtà dipendente
da una volontà superiore. In tale visione tutto l’esistente può apparire
come un caso del possibile e, dunque, come spiegava Leibniz, nel
Creatore è racchiusa l’attualità di tutto il possibile.
La creazione
del mondo pondere et mensura
– come si legge nella Bibbia – ha dato luogo a una concezione dell’esistente
ordinata e conoscibile: si pensi al famoso “Dio non gioca a dadi” di Albert
Einstein, che esprime meglio di ogni saggio teoretico quale certezza abbia
avuto nelle sue fondamenta il pensiero occidentale. Dio non è concepito solo
quale spirito di amore incommensurabile ma anche quale intelligenza dalla quale
procede ogni cosa, domina col suo sapere tutto l’esistente: sa quanti sono i
capelli del capo di ciascun uomo; lascia andare alle regolarità del cosmo da
lui creato lo sviluppo dei fenomeni, ma non permette che nemmeno un passero
muoia se non lo vuole.
Quando il Dio di
Abramo, di Isacco e di Giacobbe attraverso il cristianesimo si rivela unico
vero Dio per tutta l’umanità, affermando la sua natura di realtà delle
realtà contrapposta alle divinità che sono espressione della cultura dei
singoli popoli, cambia la concezione dell’essere. Infatti, l’essere dei
Greci si fondava sulla fusis o fisis (physis), parola che
è poi stata resa col vocabolo natura, ma dalla quale deriviamo fusione
e fisica, e soprattutto ha costituito l’impronta greca più importante
sulla lingua latina: da fusis viene fui,
il passato di esse o, per meglio dire, il perfetto del verbo essere.
Non è un caso che il “compiuto dell’essere” si esprimesse con un termine
derivato dal concetto greco di ciò che si era sviluppato dal magma del caos e
rimaneva come mondo naturale, le cui forze, più o meno misteriose, erano simbolizzate
e nascoste dalle figure di dei, ossia tropi concettuali del racconto
tramandato o mito. Il cristianesimo porta dunque un cambiamento di
sostanza: l’essere non deriva più dalla natura, l’Essere è Dio, e da questo
ente assoluto deriva tutto il mondo naturale, uomo compreso, come creato.
L’essenza dell’uomo e il suo stesso senso derivano da Dio e si
compiono in Dio.
Il nostro
lettore afferma che il paradigma del “caso e della necessità” è compatibile
con il politeismo greco e incompatibile col cristianesimo. È un’affermazione corretta
se lo si intende quale paradigma ontologico assoluto e non scientifico. Se infatti
lo si impiega solo come mezzo per fare ipotesi sui fenomeni e verificare
sperimentalmente i fatti, è compatibile con qualsiasi filosofia o religione; se
lo si ritiene un mezzo per conoscere la verità – intesa come intima
natura – di tutto ciò che esiste, entra ovviamente in rotta di collisione con
la verità rivelata dell’Essere come Dio. In altri termini, se l’idea del caso e
della necessità si impiega come strumento per conoscere i meccanismi che
portano alle forme e ai fenomeni osservati in natura, non entra in contrasto col
pensiero cristiano, ma se si ritiene che quell’idea sia il paradigma assoluto
per sapere tutto sulla sostanza, sul senso e sull’origine della realtà naturale,
allora si deve tener conto del fatto che l’impiego in tal senso di quell’idea è
già negazione della possibilità anche remota dell’esistenza di Dio; si tratta,
infatti, di un’estensione assoluta e dunque religiosa e non scientifica di un’idea.
Forse è
opportuno essere ancora più espliciti al riguardo: gli dei dell’antichità
classica non hanno alcun rapporto con Dio.
La semplice
distinzione tra monoteismo e politeismo può trarre in inganno, perché è in
questione una concezione radicalmente differente del divino: YHWH non ha
equivalenti nella storia umana e la sua comparsa nella tradizione del popolo
ebraico rappresenta un evento unico per tutta l’umanità; Eterno, Creatore e
Infinito, nell’esegesi rabbinica costituisce l’assoluto della speranza, mentre per
il cristiano è il Padre celeste; al contrario, le divinità pagane sono idoli
che nascono dall’idealizzazione di esseri umani considerati eccezionali e
immortalati attraverso racconti mitici, ma, pur vivendo nella dimensione
immaginaria e letteraria, sempre profondamente caratterizzati da difetti, passioni,
contese, ambizioni, alleanze, vendette e meschinità tipicamente umane.
In
conclusione, il “caso e la necessità”, come “competizione e selezione” e gli
altri paradigmi evoluzionistici, se impiegati quale dottrina dell’essere
in base a una visione atea e materialista, sono incompatibili con l’Essere
Creatore. Ma l’incompatibilità è nel partito preso pregresso di rifiutare la
conoscenza rivelata per le questioni dello spirito e nell’uso per un fine non
scientifico di uno strumento concettuale concepito per ottenere un vero
relativo a un metodo. [BM&L-Italia, aprile 2022].
Notule
BM&L-02 aprile 2022
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La
Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Premio Nobel con François Jacob
per la scoperta dell’operon lattosio in Escherichia
coli e aver formulato la teoria dell’operone in genetica.
[2] Se un osservatore vede una
pietra in un campo può pensare che si sia formata per caso e casualmente si
trovi lì, ma se vede un orologio deve pensare che qualcuno l’abbia perso e vi
sia un orologiaio che lo abbia costruito. Secondo l’analogia, proposta dal teologo
e filosofo anglicano William Paley (1802), l’essere
umano non ricorda un’aggregazione di minerali amorfi come la pietra, ma un congegno
complesso e sorprendente, che abbia richiesto l’abilità e l’intelligenza di un
grande orologiaio per essere creato. Quando la tesi è stata formulata, gli orologi
costituivano l’oggetto tecnologico più sofisticato di cui si disponesse, come oggi
sono i computer.
[3] In realtà, l’argomentazione dell’arcivescovo
Paley è un tentativo di giungere per ragionamento
deduttivo ad affermare l’esistenza di Dio, in uno sforzo di oggettivazione per atei
e agnostici. Un approccio in genere rifiutato dal cristiano, che crede in base
alla fede nella verità del Vangelo, e considera ogni altra cosa relativa,
rispetto a questa certezza assoluta.